LA CORTE DI APPELLO Sciogliendo la riserva, di cui al verbale dell'udienza del 12 gennaio 2006, ha pronunciato la seguente ordinanza in controversia in materia di lavoro, n. 973 del ruolo generale dell'anno 2004, su appello proposto il 22 ottobre 2004 dall'appellante Ministero della istruzione, della universita' e della ricerca, con l'Avvocatura dello Stato; Contro la parte appellata Camiscia Anita, ed altri, con l'avv. Gabriele Salvatore, ed altri, avverso sentenza n. 262 del di' 16 luglio 2004, notificata il 18 ottobre 2004, del giudice del lavoro del Tribunale di Lanciano, ed altre. Si controverte dell'inquadramento, e del conseguente trattamento di lavoratori dipendenti dal Ministero appellante, al quale sono stati trasferiti, provenendo da ente locale (la provincia), siccome in servizio in istituzione scolastica, con mansioni amministrative (cosi' detto «personale ATA»). Gli appellati pretendono un trattamento superiore, in considerazione della anzianita' maturata precedentemente al trasferimento, e la loro domanda e' stata accolta dal giudice di primo grado. Il Ministero datore di lavoro impugna la sentenza'; resistono gli appellati lavoratori. Nel corso del presente processo di appello e' intervenuta la norma della cui costituzionalita' si dubita. Trattasi dell'articolo unico, comma 218, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (finanziaria per il 2006), del seguente tenore: «il comma 2 dell'art. 8 della legge 3 maggio 1999, n. 124 si interpreta nel senso che il personale degli enti locali trasferito nei ruoli del personale amministrativo, tecnico ed ausiliario (ATA) statale e inquadrato nelle qualifiche funzionali e nei profili professionali dei corrispondenti ruoli statali, sulla base del trattamento economico complessivo in godimento all'atto del trasferimento, con l'attribuzione della posizione stipendiale di importo pari o immediatamente inferiore al trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999 costituito dallo stipendio, dalla retribuzione individuale di anzianita' nonche' da eventuali indennita', ove spettanti, previsto dai contratti collettivi nazionali di lavoro del comparto degli enti locali, vigenti alla data dell'inquadramento. L'eventuale dfferenza tra l'importo della posizione stipendiale di inquadramento e il trattamento annuo in godimento al 31 dicembre 1999, come sopra indicato, viene corrisposta ad personam e considerata utile previa temporizzazione, ai fini del conseguimento della successiva posizione stipendiale. E' fatta salva l'esecuzione dei giudicati formatisi alla data di entrata in vigore della presente legge». Orbene, l'applicazione della norma in questione alle cause in corso comporterebbe una inevitabile e non riassorbibile, neppure con il decorso del tempo, diversita' di trattamento tra lavoratori con mansioni del tutto analoghe, e vicende lavorative pregresse del pari analoghe. Infatti, mentre i lavoratori gia' in precedenza alle dipendenze del Ministero beneficerebbero della progressione economica conseguente al decorso del tempo, prevista per i dipendenti statali, secondo il regime retributivo gia' fruito, e di cui continuerebbero a fruire, ai lavoratori appellati, transitati successivamente alle dipendenze del ministero, non verrebbe riconosciuta ed erogata una retribuzione di pari importo, ma una retribuzione di importo inferiore, perche' calcolata tenendo conto soltanto della anzianita' di servizio maturata successivamente al trasferimento, e non di quella maturata precedentemente. Appare infatti di tutta evidenza che la retribuzione costituisce il corrispettivo della attivita' lavorativa svolta nel periodo preso in considerazione, e non in quello pregresso. E se nel periodo di riferimento ad un lavoratore compete una determinata retribuzione, calcolata anche alla stregua di un parametro costituito dallo svolgimento pregresso di attivita' lavorativa, tale parametro deve essere applicato correttamente, a tutti i soggetti che si trovino in condizioni analoghe. E quindi, per il pregresso, puo' distinguersi soltanto se esso presenti una qualche diversita', e non se, come nel caso in questione, l'attivita' lavorativa sia stata del tutto analoga, non potendosi attribuire una qualche rilevanza a differenze ininfluenti ed irrilevanti, ai fini della valutazione e della considerazione del sinallagma contrattuale, quale e' quella rappresentata dalla identita' del datore di lavoro. Una discriminazione del trattamento, se derivante da fattore ininfluente, tra lavoratori che svolgano la medesima attivita', alle dipendenze dello stesso ente pubblico che li retribuisce, e che abbiano una analoga storia professionale, puo' costituire una violazione del principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione. Ne' si vede come tale discriminazione possa essere giustificata da esigenze economiche del pubblico erario, quando non sussistono motivi per cui vantaggi e svantaggi non vengano equamente ripartiti tra tutti i soggetti che si trovino in condizioni analoghe, ma gravino su alcuni, e avvantaggino altri, distinti tra di loro alla stregua di un criterio privo di qualsiasi razionalita' e giustificazione. Si aggiunga che la diversita' di trattamento non e' l'effetto di una temporanea discrasia tendenzialmente superabile con il decorso del tempo, ma costituisce una discriminazione permanente ed insuperabile, sicche' non puo' neppure essere considerata come un inconveniente temporaneo, suscettibile di essere tollerato durante una fase di riallineamento e riconduzione del rapporto ad equita'. Si consideri altresi' che una analoga discriminazione si ravvisa tra due categorie di dipendenti pubblici trasferiti: infatti, oltre ai cosi' detti dipendenti ATA, di cui si e' detto, sono del pari transitati dall'ente locale alla amministrazione statale, nell'ambito della stessa globale riorganizzazione del settore, gli insegnanti tecnico pratici, e per essi la norma in questione non prevede alcuna discriminazione nella determinazione della retribuzione.